LA RAGION D’ESSERE ECCLESIOLOGICA DELLE ÉQUIPES NOTRE DAME
Quando l’amato e venerato Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II, la sua intenzione era quella di invitare la Chiesa a vivere un processo di rinnovamento, di aggiornamento, di fedeltà alla sua missione. L’invito è stato tradotto con il termine “aggiornamento”, con il quale il Papa ha cercato di far sì che il progetto di Gesù con la comunità nata dal dono dello Spirito Santo nell’iniziale Pentecoste cristiana potesse essere compreso nel mondo contemporaneo.
Ad appena tre mesi dall’inizio del suo pontificato, era il gennaio 1959, rese pubblica la sua intenzione: “Pronuncio davanti a voi, è vero, tremando un po’ per lo sgomento, ma al tempo stesso con umile risoluzione di propositi, il nome e la proposta della duplice celebrazione di un sinodo diocesano per l’Urbe e di un concilio ecumenico per la Chiesa universale”. Quale era l’intenzione del “Papa buono”?
È stato il grande “Aggiornamento”, inteso come aggiornamento e rinnovamento della vita e della missione della Chiesa per comprendere i nuovi contesti del mondo in cui la Chiesa vive e serve. Giovanni XXIII disse: “Voglio aprire le finestre della Chiesa in modo che noi possiamo vedere fuori e i fedeli possono vedere dentro”. L’obiettivo era quello di stabilire un dialogo con il mondo contemporaneo, assumendone la complessità senza paura o rifiuto. E, allo stesso tempo, coinvolgere i fedeli nella visione futura della Chiesa.
I Padri conciliari, nei documenti ufficiali emanati dalla grande Assemblea, vollero iniziare la Costituzione dogmatica sulla Chiesa: “Cristo è la luce dei popoli. Perciò questo sacro Sinodo, riunito nello Spirito Santo, desidera ardentemente illuminare tutti gli uomini, annunciando il Vangelo a ogni creatura (cfr. Mc 16,15) con la luminosità di Cristo, che risplende sul volto della Chiesa. E poiché la Chiesa è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, essa intende presentare con maggiore precisione la sua natura e la sua missione universale ai suoi fedeli e al mondo intero, attingendo all’insegnamento dei Concili precedenti. Le condizioni del nostro tempo rendono ancora più urgente questo dovere della Chiesa, cioè che tutti gli uomini, oggi più strettamente uniti da molti legami sociali, tecnici e culturali, possano anche raggiungere la piena unità in Cristo”. (LG 1)
Il fatto che la Chiesa sia segno e strumento di unità ci permette di approfondire il senso profondo dell’identità della nostra comunità cristiana e di ciascuna delle comunità che ne fanno parte.
Sessant’anni dopo, Francesco, il successore di Giovanni XXIII, ha cercato di rendere visibile e attivo il Concilio Vaticano II. Vuole che i battezzati diventino sempre più consapevoli di ciò che siamo e siamo chiamati ad essere. Vuole che tutta la Chiesa, in un processo permanente di discernimento, assuma la sua missione di segno e strumento. Abbandonare l’autoreferenzialità per andare a testimoniare l’amore di Dio.
Noi, Equipes Notre-Dame, membri della Chiesa, dobbiamo, in modo particolare, riconoscerci negli inviti e nelle chiamate ad essere ogni giorno con più convinzione e realtà segni e strumenti di unità in mezzo ad un mondo frammentato e diviso.
L’unità degli sposi cristiani, nata attraverso i sacramenti del battesimo e del matrimonio, deve essere l’inizio di questo cammino di unificazione. Ogni Equipe, nella sua condizione di piccola comunità (ecclesiola), deve vivere il mistero dell’unità in Cristo che diventa segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità degli esseri umani. E il Movimento nel suo insieme deve riflettere questa stessa realtà.
Pertanto, il nostro fondamento ecclesiologico e la nostra realtà devono essere inquadrati nel quadro di ciò che la Chiesa intera è chiamata a essere, a significare e a riflettere. Che lo Spirito Santo, fonte di unità e santità, cammini con noi in questo proposito.
Ricardo Londoño Domínguez,
consiliario espiritual